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«Conti dell’inventario che dobbiamo fare, questi venti quadri contano gli spiccioli, ma vogliono alludere alle grandi cifre del trentennio ultimo scorso». Così Giulio Angioni nel 1978 in chiusura, quasi saggistica, di questa raccolta di racconti che lo hanno visto esordire come narratore. Già laborioso antropologo, si impone nella narrativa nel decennio del Novecento (quello, per la Sardegna, di Paese d’ombre di Giuseppe Dessì, Padre padrone di Gavino Ledda e Il giorno del giudizio di Salvatore Satta), con un tema che non abbandonerà più, facendo i conti di un trentennio sardo segnato da un cambiamento mai conosciuto prima. È il tema di un’infanzia più vicina a quella del tempo dei nuraghi che dei nostri giorni. Constatarlo, per Angioni, ha comportato anche raccontare la vertigine culturale di un mutamento antropologico inaudito, con 20 storie indimenticabili.
Volume n.32