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Anche per questo non possiamo non concordare con Emilio Cecchi quando scrive: «Il più bel premio toccato alla bontà della Deledda, alla nobiltà della sua vita, alla sua esemplare passione di lavoro, fu certamente questo: che le venne risparmiato di sentirsi stanca, meno valida e operosa; le venne risparmiato di sentirsi decadere. Come quelle intrepide donne dei suoi libri e dei suoi monti, filò la sua lana fino all’ultimo e nel suo profondo disinteresse del già fatto, nella sua ansia del meglio, ella sembrava non essersi nemmeno accorta, per non dovere insuperbirne, che il filo fra le sue dita diventava d’una sostanza ogni giorno più preziosa, diventava il filo d’una magia, di una fatagione».
(Dalla prefazione di Giovanna Cerina)