GIUSEPPE SCIUTI (Zafferana Etnea 1834-Roma 1911) iniziò gli studi artistici molto presto, prima presso scuole di pittori e poi si recò a Roma e a Firenze, dove affinò la sua tecnica. Tuttavia, a causa delle difficoltà economiche in cui venne a trovarsi la famiglia, dovette interrompere gli studi e lavorare presso un decoratore. Negli stessi anni iniziò a dipingere alcune tra le sue prime opere più famose come L’eruzione dell’Etna (1852) e San Giuseppe col Bambino (1854). I suoi lavori furono apprezzati al punto che gli fu concessa una borsa di studio grazie alla quale riprese gli studi e ben presto i suoi dipinti acquistarono valore e rilievo nelle esposizioni d’arte e gli permisero di vincere dei premi cospicui. Viaggiò in Italia e in Europa, ricevendo l’apprezzamento dei migliori artisti e nel 1888 espose a Londra, presso il Palazzo di Cristallo. Nel 1896 tornò a Catania dove gli fu affidato il compito di affrescare la volta e la cupola della Basilica Collegiata e realizzò un gran numero di importanti opere, tra le quali possiamo ricordare la Madonna dei Bambini conservata presso la chiesa Sant’Agata la Vetere di Catania. Nel 1902 gli furono commissionati altri importanti lavori, ad Arcireale affrescò le volte del Palazzo Calanna, della Cappella dei baroni Pennisi di Floristella e della Cattedrale. Morì a Roma nel 1911.
PIETRO ANTONIO MANCA (Sorso 1892-Sassari 1975) di famiglia benestante, nel 1912 interruppe gli studi classici per partire volontario in Libia, dove, in qualità di ufficiale, fu decorato più volte. Negli anni ’20 si formò a Roma, Parma, Firenze, Milano e Venezia, frequentando musei, studiando il mondo classico ed accostandosi al pensiero di Arturo Onofri. Nel 1928 espose per la prima volta con successo alla I Biennale d’Arte Sarda di Sassari con l’opera Autoritratto. Tra il 1931 e il 1939 partecipò ad importanti manifestazioni: la I Quadriennale d’Arte Nazionale, alla XIX Esposizione Biennale Internazionale d’Arte di Venezia; alla XX Esposizione Biennale Internazionale d’Arte di Venezia; alle mostre interregionali di Napoli e Firenze e alla V Quadriennale d’Arte di Roma. Richiamato sotto le armi, fu assegnato nel 1941 al distretto militare di Nuoro, dove frequentò gli artisti nuoresi e dipinse le prime scene in costume. Partecipò in seguito a varie mostre regionali d’arte e, nel 1952, 1955 e 1958, alle Quadriennali di Roma. Nel 1955 scrisse il saggio Concezione immaginativa della pittura italiana in Sardegna. Nel 1972 si aggiudicò il premio di pittura Mario Sironi con un autoritratto. Manca si autodefiniva “pittore immaginativo”. L’intuizione fu la base teorica del suo credo figurativo, per cui solo l’artista è in possesso degli arcana per attingere il mistero e l’assoluto. Questa concezione lo portò alla frantumazione della forma e del colore, verso l’”informe” che doveva esprimere la compiuta conquista della visione mistica delle cose del mondoe spesso si pose in coraggiosa antitesi con il “folclorismo” in auge nei primi decenni del Novecento. Morì a Sassari, città dove aveva sempre vissuto, nel 1975.
SALVATORE FANCELLO (Dorgali 1916-Bregu Rapit 1941) penultimo di dodici figli, rivelò da giovanissimo le sue attitudini artistiche. Nel 1929, dopo il diploma, iniziò a lavorare presso un laboratorio di ceramiche a Dorgali e grazie a una borsa di studio l’anno successivo si iscrisse all’ISIA di Monza, frequentando con Giovanni Pintori e Costantino Nivola, e dove emerse subito per le sue indiscusse capacità. Le sue prime terrecotte risalgono al 1933 e l’anno seguente, dopo aver conseguito il diploma in ceramica seguì il biennio di perfezionamento, ottenendo il titolo di Maestro d’Arte. Nel 1936 espose alla VI Triennale di Milano dove gli fu assegnato il Gran premio e dove si trasferì e seguì i circoli di cultura razionalista. Nel 1937 lavorò a un bassorilievo per la Mostra Tessile di Roma, per la Olivetti e fu chiamato alle armi nel dicembre dello stesso anno. Durante la guerra lavorò a contatto con i futuristi Martini, Sassu e Fontana con il quale aveva lavorato qualche anno prima. Nel 1940, in licenza, riuscì a lavorare per la VII Triennale di Milano dove conseguì il diploma d’onore. Nello stesso periodo fu impegnato nel lavoro di decorazione di una sala dell’Università Bocconi, ciclo di mosaici di ceramica che però rimase incompleto. Fu infatti, l’anno successivo, richiamato alle armi e morì Bregu Rapit in Albania nel 1941. Nel 1942 si rese omaggio alla scomparsa dell’artista alla Pinacoteca di Brera dove furono raccolte insieme le sue sculture, i disegni e le ceramiche. Nel 1947 gli fu conferita la medaglia d’ora al valore e nel 1962 le sue spoglie furono rimpatriate e tumulate nel camposanto di Dorgali.
MELKIORRE MELIS (Bosa 1889-Roma 1982) quarto di otto fratelli e figlio d’arte, si formò con Emilio Scherer e nel 1909, grazie a un sussidio del Comune, si trasferì a Roma dove si iscrisse all’Accademia di Belle Arti. A seguito di un corso diretto da Cambellotti, realizzò le sue prime ceramiche sarde. Dopo aver esposto nel 1914 lasciò Roma per tornare a Bosa, dove strinse amicizia con Giuseppe Dessì. Il 1916 è l’anno della Prima Esposizione Artistica Sarda alla quale partecipa con L’ucciso. Nel 1920 assunse la direzione della “Rivista Sarda” e collaborò con “Il giornalino della domenica”. L’anno successivo gli fu commissionata la decorazione della Sala Sarda presso la Casa d’Arte Bragaglia di Roma e vinse il primo e secondo premio del Concorso nazionale per un cartello indetto dal quotidiano “Il Messaggero”. Nel 1923 allestì la sezione sarda alla I Biennale delle arti decorative di Monza, dove esposero molti noti artisti isolani, tra cui Francesco Ciusa. Nel 1930 partecipò alla XII Biennale di Venezia e l’anno dopo alla Prima Quadriennale D’Arte Romana. Nel 1934 trasferitosi a Tripoli alla direzione della Scuola Musulmana di Mestieri ed Arti Indigene, propose una fusione di stili, realizzando vari pezzi per Bengasi e Tripoli. Nel 1948 fu nominato ispettore per la CNA (Confederazione Nazionali Artigiani ) delle attività artigiane ed industriali della ceramica in Roma. Presentandosi a Sassari nel 1951 ricevette il Premio della città per la pittura ed organizzò una mostra con opere aventi per soggetto la “caccia Nuragica”. Tra il 1952 e il 1965 insegnò presso la Scuola d’Arte di Roma. Dal 1966 dicise di dedicarsi esclusivamente alla pittura con soggetto sardo. Morì a Roma nel 1982.
TARQUINIO SINI (Sassari 1891-Cagliari 1943) fu illustratore, pubblicitario ed apprezzato caricaturista. Nato a Sassari si trasferì con la famiglia a Cagliari, dove entrò subito in contatto con gli artisti più importanti della città. Tra il 1909 e il 1913 partì a Torino per frequentare il Politecnico e realizzò le prime caricature esordendo sul giornale “Pasquino”. Le sue illustrazioni, dai colori accesi e dal segno vivace, incontrarono subito il favore del pubblico e cominciarono ad essere pubblicate nei più prestigiosi giornali satirici europei. Allo scoppio della guerra partì per Parigi, dove realizzò delle etichette, venne poi distaccato in Umbria, continuando sempre a lavorare come illustratore. Nel dopoguerra fu assunto a Roma dalla Cines e collaborò con diverse riviste cinematografiche. Negli anni ’20 fece ritorno a Cagliari, dove proseguì l’attività di cartellonista lavorando con Mediterranea. Tra il 1927 e il 1929 espose presso la Bottega d’Arte Cau e a Sassari, e il successo che ne derivò lo portò a realizzare numerose variazioni sul tema attraverso la moderna cartolina. Nel 1930 si trasferì a Milano, dove lavorò come illustratore per la Sonzogno e si dedicò alla cura di allestimenti negli ambiti più differenti. Nel 1939 allestì la grande mostra di Arti Popolari a Cagliari e cominciò a lavorare a una nuova serie di Contrasti che però è andata perduta a causa dei bombardamenti che colpirono Cagliari e dei quali rimase vittima Tarquinio Sini stesso nel febbraio del 1943.
FOISO FOIS (Iglesias 1916-Cagliari 1984) è stato un pittore, saggista e critico d’arte. Cresciuto a Cagliari, dopo un breve periodo in Toscana, nel 1939 si iscrisse alla facoltà di Economia, ma dopo poco, a causa della guerra, si trasferì a Firenze, dove entrò in contatto con l’ambiente artistico e definì il suo interesse per la pittura. Nel 1942, dopo essersi laureato, si spostò nel biellese ed entrò a far parte delle brigate partigiane. Durante la guerra nel 1944 fu arrestato dai nazisti e rilasciato dopo poco tenne la sua prima personale a Biella durante la quale conobbe L. Boffa Tarlatta che lo convinse ad iscriversi all’Accademia. Il 1949 segnò un punto di svolta con la mostra presso la Galleria Della Maria, grazie a una pittura innovativa, con suggestioni espressioniste e combinata ad accenti neorealisti. Negli anni ’40 e ’50 l’arte pittorica di Fois raggiunse la sua maturità coniugando espressionismo e neorealismo. Partecipò a mostre nazionali ed internazionali, aggiudicandosi tra i vari premi nel 1951 il Premio Suzzara. Tra il 1957 e il 1958 il pittore progetta un trittico ispirato al tema “La Sardegna verso l’Autonomia”; in realtà soltanto due tele verranno effettivamente realizzate: Eleonora d’Arborea e La rivoluzione di Giommaria Angioj, entrambe conservate presso la Presidenza della Regione Sardegna. Negli anni ’60 l’equilibrio raggiunto nelle opere degli anni ‘50 si incrina definitivamente, lasciando riaffiorare le pulsioni espressioniste che a volte, soprattutto dalla fine degli anni ‘60, si manifesteranno con inedita aggressività. Negli stessi anni affiancò l’attività didattica a quella pittorica, divenendo prima direttore del Liceo Artistico a Cagliari, poi titolare della cattedra di Discpline Pittoriche e preside. Nell’ultimo periodo della sua attività pittorica l’interesse per la natura sembrò dominare con paesaggi, fiori e piante dell’ambiente mediterraneo. Due personali a Cagliari chiudono il suo percorso espositivo nel 1981 prima della sua morte avvenuta nel 1984.
EUGENIO TAVOLARA (Sassari 1911-1963) è stato scultore, incisore, ceramista, illustratore e designer. A partire dal 1919 decise di dedicarsi prevalentemente all’arte decorativa, creando dei pupazzi, insieme a Tosino Anfossi, raffiguranti pastori e contadini sardi che nel 1925 ottennero, all’Esposizione internazionale di Parigi, una medaglia d’oro e larghe segnalazioni da parte della critica. Negli anni ’30 creò diversi pupazzi inspirandosi ai temi delle decorazioni tradizionali e propose produzioni artigianali creando egli stesso dei disegni originali. Fra i suoi soggetti vi erano, oltre a figurine in costume tradizionale sardo, anche clowns, musicisti jazz, animali e personaggi delle fiabe. Nel 1933 espose alla Triennale di Milano i suoi pupazzi di legno rivestiti di stoffa, e nel 1936 entrò a far parte del corpo docenti dell’Istituto d’Arte di Sassari. Tra i vari lavori che realizzò negli anni ’40 possiamo ricordare quello realizzato per la corte d’Assise del palazzo di giustizia di Sassari. Per la sua intensa ed originale attività creativa la città di Sassari gli intitolò il Padiglione per l’Artigianato costruito per l’ISOLA (Istituto Sardo Organizzazione Lavoro Artigianale) su progetto dell’architetto Ubaldo Badas. Nel 1957 la direzione dell’ISOLA fu affidata agli stessi Eugenio Tavolara e Ubaldo Badas e la partecipazione alla Triennale di Milano portò alla vittoria della medaglia d’oro, che ottennero anche nel 1959 e nel 1960 alla Mostra dell’Artigianato di Firenze. Durante questi anni la produzione ISOLA, la cui maggior parte dei pezzi era di Tavolara, circolò in campo internazionale arrivando al Sminthsonian Institute. Nel 1962 gli venne diagnosticato un tumore e dopo la sua ultima opera, la facciata del Palazzo dell’ENEL a Cagliari, morì l’anno successivo a Sassari.
GIUSEPPE BIASI (Sassari 1885-Andorno Micca 1945) è stato una delle figure più importanti della pittura sarda del XX secolo. Fu autodidatta e iniziò a soli sedici anni a pubblicare come illustratore prima nei fogli umoristici sassaresi, poi dal 1904, durante un periodo a Roma, come collaboratore de “L’Avanti della domenica” e “L’Italie”. Tornato in Sardegna si dedicò agli studi in legge e inaugurò la sua prima mostra personale. Tra il 1906 e il 1910 lavorò per il “Giornalino della Domenica” e altre riviste, e partecipò alla Biennale di Venezia nel 1909. Divenne in quegli anni fulcro del “Cenacolo” sassarese di artisti e intellettuali e cominciò a farsi conoscere sulla scena nazionale, grazie anche alla partecipazione alla I e alla II Secessione romana. Nel 1915 fu chiamato alle armi, ma l’anno successivo, a causa di una ferita, rimpatriò e si trasferì a Milano dove riscosse un certo successo nell’ambiente artistico anche grazie a una pittura che si fece sempre più poetica e innovatrice. Il 1920 fu l’anno in cui Biasi ottenne il premio dell’Opera Nazionale Combattenti alla Biennale di Venezia e tra il 1924 e il 1926 soggiornò in Tripolitania, Cirenaica ed Egitto. Nel 1927 fece ritorno in patria e continuò ad esporre. Nei primi anni ’30 pubblicò due coraggiosi pamphlet contro il sistema dell’arte italiano e lavorò alla Villa Argentina di Viareggio e alla Stazione Ferroviaria di Tempio. All’inizio del decennio successivo la sua arte si spostò verso esiti realistici e, pressato dalle difficoltà economiche e dalla guerra, nel 1942 si trasferì a Biella dove riscosse un certo successo nel 1944 con la sua ultima personale. L’anno seguente, nel 1945, fu accusato di spionaggio, e arrestato, e durante il trasferimento da un carcere all’altro rimase ucciso.
FILIPPO FIGARI (Cagliari 1885-Roma 1973) nato a Cagliari, trascorse l’infanzia a Sassari con la famiglia dove strinse amicizia con Giuseppe Biasi e Mario Paglietti, suo primo maestro. Rientrato nella città natale, dove si diplomò, espose le sue caricature in una mostra con Felice Melis Marini. Nel 1904 si trasferì a Roma, dove realizzò numerose caricature per il quotidiano “La Patria” e “L’Avanti della Domenica”. Studiò presso l’Accademia di Francia e si trasferì prima a Venezia, poi a Monaco per completare la sua formazione. Al 1909 risale la sua prima personale a Cagliari, dove ottenne l’incarico di decorare la Sala dei Matrimoni del nuovo Palazzo Civico di Cagliari. Combattè nella prima guerra mondiale, per la quale fu insignito di una medaglia di bronzo al valore e cadde prigioniero degli austriaci. Nel dopoguerra si avvicinò di nuovo all’arte grafica, ricevendo diversi incarichi privati e pubblici. Negli anni ’30 partecipò a varie mostre, tra le quali la Prima Mostra del Sindacato Regionale Fascista e nel 1931 la Quadriennale Nazionale d’Arte di Roma, dove una sua opera, La Vendemmia, venne acquistata da Vittorio Emanuele III. Nel 1935 venne nominato direttore della Scuola d’Arte di Sassari. La III Quadriennale di Roma fu l’ultima rassegna prima degli eventi bellici cui l’artista prende parte. Nel 1951 partecipò alla VI Mostra Internazionale d’Arte Sacra di Roma; dopo le vetrate per il Duomo (1951) e per la Chiesa di Santa Caterina (1954) a Sassari, tra il 1954 e il 1957 completò i lavori sulla Cattedrale di Cagliari, dipingendo sulla navata la grande tela con la storia della fede sarda. Nel 1958 lasciò la direzione dell’ Istituto d’Arte e si trasferì a Roma mantenendo i contatti con la sua isola, dove nel 1965 progettò il mosaico per la Chiesa di Santa Maria Goretti di Sant’ Antioco. Morì a Roma nel 1973.
ALIGI SASSU (Milano 1912- Pollença 2000) pittore e scultore, fu introdotto nel mondo artistico dal padre, legato da una forte amicizia con Carlo Carrà, all’età di sette anni. Ebbe una carriera estremamente precoce, nel 1927 espose in una galleria milanese e a sedici anni alla Biennale di Venezia. Si avvicinò presto alle avanguardie futuriste, firmando nel 1928 il Manifesto della pittura “dinamismo e riforma muscolare” dove si teorizzava la ricerca di forme nuove, dinamiche e antinaturalistiche. Fu in occasione della sua mostra milanese del 1930 che si delineò il superamento del futurismo e un avvicinamento al gusto dei primitivi, con nuove figure e tematiche della città e periferia industriale. Risiedette alcuni mesi a Parigi dove studiò a fondo Cezanne e Delacroix e al suo ritorno, dal 1935 circa, rafforzò i suoi ideali politici antifascisti e solo nel 1941 riuscì di nuovo ad esporre. Tra il 1947 e il 1950 visse a Varese, dedicandosi prevalentemente alla ceramica. Tornato in Sardegna dipinse soprattutto paesaggi e si avvicinò ai muralisti. Negli anni ’60 si trasferì in Spagna dove iniziò una pittura incentrata su personaggi mitologici e sperimentazioni con colori acrilici sempre più accesi. Negli anni ’80 espose in molte città italiane, europee e americane, creando tavole per la Divina Commedia. Nel 1996 donò 356 sue opere alla città di Lugano dove poi è nata la Fondazione Aligi Sassu e Selenita Olivares. Nel 2000, all’età di ottantotto anni morì nel giorno del suo compleanno.