GIULIO GINO BOTTIGLIONI (Carrara 1887 – Bologna 1963) ammesso alla Normale di Pisa, si laureò in Glottologia e perfezionò l’anno seguente a Firenze. Tra il 1912 e il 1923 fu professore nelle scuole medie, attività che lo condusse a Cagliari, fra il 1915 e il 1918 e dal 1924 al 1926 fu preside presso il liceo Manin di Cremona. Nel 1927 vinse una cattedra di grammatica comparata presso l’Università di Cagliari e poi a Pavia e successivamente a Bologna, dove rimase fino al 1957. Il lavoro principale del Bottiglioni, frutto di una lunga attività d’inchieste pluriennali è l’ Atlante linguistico etnografico italiano della Corsica, pubblicato a Pisa in dieci volumi tra il 1933 e il 1944. L’opera testimonia la propensione allo studio dei fatti folclorici. Fra i numerosi altri lavori si palesa un’attenzione non episodica per le lingue dell’Italia antica, per i processi di strutturazione del dominio romanzo e per i problemi del sostrato.
FRANCESCO DE ROSA (Olbia 1854-1938) fu maestro elementare, ma anche giornalista e studioso eclettico. Viaggiò molto per la Sardegna, con la moglie, anche lei insegnante, e durante questi spostamenti si documentò molto su storie locali. Parte di questo intenso lavoro è raccolta nel volume “Tradizioni popolari di Gallura”. Fu un uomo di particolare intelligenza, di grande attenzione e disciplina quasi doverosa nel raccogliere dati e note informative sulla Sardegna e di grande sensibilità per i problemi sociali dell’isola. Pubblicò inoltre diversi articoli e fu relatore in molte coferenze all’epoca di grande risonanza culturale, oltre che autore di raccolte di poesie. Fu anche pubblicista e fondò e diresse il giornale gallurese Le Bocche di Bonifacio, tra il 1883 e il 1885. Ha lasciato infine manoscritte spigolature di preistoria e di storia sarda e note sulla storia religiosa.
PIETRO CASU (Berchidda 1878-1954) è una delle figure più significative nel panorama della cultura sarda della prima metà del Novecento. Parroco del proprio paese natale per oltre quarant’anni, fu noto in tutta la Sardegna per le sue omelie in lingua logudorese. Tradusse in sardo la Divina Commedia (1929) e, sempre in sardo, compose numerose poesie e traduzioni poetiche dei grandi autori della letteratura non solo italiana. Attese per tutta la vita alla compilazione di un imponente Vocabolario sardo logudorese-italiano, il cui manoscritto è stato recentemente edito. Ci ha lasciato anche una copiosa produzione letteraria in italiano: nell’arco di diciannove anni compose dieci romanzi e cinque raccolte di novelle. Ghermita al core è considerato insieme a Notte sarda il migliore fra i suoi romanzi. Fra gli altri si ricordano in particolare: Aurora sarda (1922), Mal germe (1925) e La voragine (1926). Fra i temi più importanti della sua narrativa ricorre l’auspicio di un futuro luminoso per la Sardegna.
CLARA GALLINI è professore ordinario di Etnologia all’Università di Roma La Sapienza. Studiosa della cultura popolare italiana e autrice di diversi libri, fra i quali: I rituali dell’“argia” (1967), Il consumo del sacro. Feste lunghe di Sardegna (1971), Dono e malocchio (1973), La Sonnambula meravigliosa (1983), Il miracolo e la sua prova. Un etnologo a Lourdes (1988). Ha curato diverse pubblicazioni postume di Ernesto De Martino, tra le quali La fine del mondo. Contributo all’analisi delle apocalissi culturali (1977), I viaggi nel Sud di Ernesto De Martino (1999) con Francesco Faeta e, da ultimo, il volume collettivo Patrie elettive. I segni dell’appartenenza (2003).
SALVATORE SATTA (Nuoro 1902 – Roma 1975) dopo aver frequentato il liceo a Sassari, ottenne la laurea in Giurisprudenza con il massimo dei voti e si trasferì a Milano per esercitare il tirocinio di avvocato. Nel 1928 vinse il Premio Viareggio con La veranda. A partire dagli anni ’30 iniziò la sua carriera accademica come Professore in varie università italiane. Nel 1939 sposò Laura Boschian, con la quale ebbe due figli e si trasferì prima a Genova, poi a Roma. Durante gli anni della guerra pubblicò Teoria e pratica del processo, Guida pratica per il nuovo processo civile italiano e Istituzioni di diritto fallimentare, mentre ai decenni ’60 e ’70 risalgono opere monumentali quali Commentario al codice di procedura civile, Soliloqui e colloqui di un giurista. Nel 1970 ebbe inizio invece la stesura de Il giorno del giudizio, pubblicato postumo nel 1977 e tradotto in ben 16 lingue.
ALBINO BERNARDINI (Siniscola 1917-Bagni di Tivoli 2015). È stato maestro elementare, ma anche apicultore. Nell’ultimo conflitto ha partecipato alle campagne di Albania, Grecia e Jugoslavia, esperienza che racconterà in Disavventure di un povero soldato, dedicato agli adolescenti, contro la stupidità di tutte le guerre. A partire dal 1945 si dedica interamente alla scuola, e nel 1960 lascia la Sardegna per trasferirsi a Roma, dove entra a far parte del Movimento di Cooperazione Educativa, stringendo un sodalizio umano e intellettuale con Gianni Rodari. Nel 1968 esce Un anno a Pietralata, che nel 1972 ispirò il film di Vittorio De Seta Diario di un maestro. Seguirono numerose altre pubblicazioni, soprattutto favole e racconti per bambini.
PEPPINO MEREU (Tonara 1872 – 1901) orfano a 17 anni, quarto di 7 fratelli, trovatosi in gravi difficoltà economiche, fu costretto ad abbandonare gli studi e si formò da autodidatta. Alla sua gioventù risale l’adesione al socialismo e la grande passione per la poesia improvvisata. Lavorò come carabiniere per 5 anni, girando la Sardegna e componendo poesie. Nel 1895, a causa di problemi di salute fu costretto a ritirarsi nell’amata/odiata solitudine del suo paese. Tra il 1898 e il 1900 il poeta ottenne una certa visibilità fuori dal paese natio. Le condizioni di salute e di conseguenza esistenziali, si fecero sempre più difficili, finché a soli 29 anni Peppino Mereu morì nel 1901. La penuria di dati storici sulla sua vita e il mistero circa alcuni temi della sua produzione, fu difficile capire se la natura dei suoi amori e dolori fosse fittizia o reale, contribuiscono ancora oggi a mantenere vivo l’interesse per la sua poesia.
CARLO VARESE (Tortona 1792 – Firenze 1866) iniziò da ragazzino ad esercitarsi nell’arte tragica con l’opera “Oitona” che scrisse a quindici anni senza conservarne una copia. Nel 1813 si laureò in Medicina e si trasferì a Voghera dove sposò la figlia del medico Francesco Frambaglia, che erudì in nella medicina. Tra il 1825 e il 1831 scrisse ben otto opere narrative, anche nella speranza di affrancarsi dalla vita provinciale. Si volse poi alla storia, scrivendo “Storia della Repubblica di Genova” i quattro tomi. Dal 1840 si trasferì a Genova, svolgendo la professione di medico. Nel 1847 fu nominato segretario della Commissione di revisione della stampa per la città e la provincia di Genova e deputato nel collegio di Serravalle. Da Cavour ricevette l’incarico di scrivere un’appendice storica sul Risorgimento italiano. Rieletto deputato a Novi, seguì il Parlamento di Firenze, dove morì nel 1866.
GIOVANNI ANTONIO MURA (Bono 1879 – 1943) gli anni giovanili furono caratterizzati dalle inquietudini del seminarista e da una precoce vocazione poetica. Nel 1900 pubblicò la prima raccolta di versi Silvestria e nel 1903 si laureò in Teologia a Roma, dove frequentò vari intellettuali e collaborò con la rivista “Ateneo”. Rientrato in Sardegna fu nominato viceparroco a Bono e a Nuoro, lavorando anche come pubblicista e oratore, scrivendo per varie riviste letterarie e continuando l’attività di saggista e poeta. Nel 1934 esce La tanca fiorita, nel 1941 Quando il corpo muore, nel 1942 Il parroco di Geranio, e sempre nel 1942 Ma liberaci dal male. Nel 1936 fu costretto a lasciare la parrocchia di Dorgali per le trame di una potente famiglia che aveva ostacolato nelle mire su beni di proprietà comune. Rifugiatosi a Bono, morì lì nel 1943.
CARLO BAUDI DI VESME (Cuneo 1809 – Torino 1877) di famiglia patrizia, frequentò a Torino le scuole dei Gesuiti e si spinse verso un’erudizione classica. Giurista di formazione, nel 1833 vinse diversi concorsi banditi dall’Accademia delle Scienze di Torino e nel 1835 entrò anche nella Deputazione di Storia Patria, impegnandosi prevalentemente nella produzione scientifica, storico-giuridica. Dall’aprile 1848 fu primo ufficiale degli Interni per gli affari di polizia, deputato nella prima e terza legislatura del Parlamento subalpino e nel 1850 senatore per meriti scientifici, intervenendo sulle questioni più scottanti dell’attualità. Si interessò molto inoltre alla filologia e alla linguistica, per questo fu nominato nel 1874 socio dell’Accademia delle Scienze di Berlino, della Società di archeologia e belle arti di Torino e socio dell’Accademia della Crusca. Nel 1850 divenne socio della Società di Monteponi e nel 1862 presidente. Ad Iglesias dedicò la sua ultima opera Codex Diplomaticus Ecclesiensis.